“Ecologia e Salute” Lugo, 1983

di Aldo Sacchetti
Lezione, Aula Magna del Liceo Scientifico “G. Ricci Curbastro”, Lugo
17 Dicembre 1983

Testo rivisto dall’autore in ABC dell’ecologia, Edizione Università Popolare di Romagna, Lugo, pp. 63-76
Luglio 1987

Ecologia e Salute

Testo rivisto dall’autore in ABC dell’ecologia, pp. 63-76

Desidero innanzi tutto complimentarmi con i promotori di questo ciclo di incontri intesi a divulgare i fondamenti di una cultura della vita. Malgrado la sua basilare importanza, l’ecologia (che in verità è qualcosa di più di una scienza: un diverso modo di pensare, un tentativo di ricomporre concettualmente l’unità del reale, distrutta proprio dal riduzionismo scientifico) si trova ancora ai margini delle università istituzionali. Esse trascurano l’approfondimento olistico delle interazioni tra gli organismi viventi e l’ambiente perfino nelle discipline che proprio dalla comprensione di tali interazioni dovrebbero trarre la propria legittimazione, come la biologia, la medicina, l’agraria.
I futuri medici vengono subito messi a confronto col cadavere, molto più adatto del vivente alla cultura della macchina. Al tavolo anatomico la conoscenza è indirizzata in senso deterministico, meccanicistico, verso la dissezione analitica di ciò che si può misurare. E il modo migliore per non capire nulla della vita, dei suoi vincoli, della sua imprevedibilità.
La profonda crisi ambientale conseguente allo sviluppo dell’industria ha destato negli ultimi anni un grande interesse ecologico: tutti sono ormai consapevoli dei gravissimi danni inferti tanto alla natura quanto alle testimonianze culturali del passato. Inquinamento dell’aria, delle acque, del suolo; modificazioni climatiche, collasso di interi ecosistemi. Il Sahara si allarga in media di 10km. all’anno e l’Algeria perde ogni giorno 100 ettari di terreno agrario (molto meno, per altro, di quanti negli ultimi trent’anni ne siano stati quotidianamente sottratti all’agricoltura italiana).
Non altrettanto lucida è la consapevolezza di come e perché i processi degradativi coinvolgano solidalmente la nostra stessa salute. Ed è intuitivo che un chiarimento del genere trovi formidabili resistenze, non soltanto culturali.
Dato che le nozioni essenziali di irreversibilità e di entropia sono già state esposte in precedenti incontri, limiterò il mio intervento ad alcune considerazioni sugli effetti entropici in biologia.

La vita è sorretta da un ciclo continuo di materia attivato dal sole. Ogni anno la fotosintesi produce – secondo un calcolo ovviamente approssimativo – 200 miliardi di tonnellate di sostanza organica e 220 miliardi di ossigeno, utilizzando 240 miliardi di t. d’acqua (di cui la metà viene immediatamente restituita all’ambiente) e 300 miliardi di anidride carbonica. Nello stesso tempo il complesso dei trasferimenti energetici cellulari degrada la materia organica e fissa l’ossigeno, liberando anidride carbonica e acqua in un processo inverso rispetto a quello fotosintetico.
Ogni essere, animale o vegetale, è un aspetto di questo perenne fluire di materia e di energia. Non è dunque possibile astrarre la vita dall’habitat che l’alimenta: anche nel grembo materno la corrente chemioenergetica che consente allo zigote di moltiplicarsi e plasmarsi in un nuovo organismo viene tutta dall’esterno.
I processi biologici non provocano disordine sulla Terra, perché dissipano esclusivamente energia solare e riciclano sempre gli stessi elementi chimici. Ciò che è rifiuto di una specie è alimento di altre. Se residui si accumulano in superficie, non sono certamente tossici: pensiamo alle vette dolomitiche, vestigie fossili di scogliere coralline vissute fra 180 e 200 milioni di anni fa.
Il lavoro umano invece, con l’inizio dell’attività mineraria e, soprattutto, con la rivoluzione industriale, non ha fatto che smagliare sempre più profondamente il tessuto ecologico, rompendo l’armonia dei cicli biogeochimici che lo sottendono ed affogandolo in un mare di sostanze ostili ai suoi processi metabolici 1. Mentre da una parte le risorse naturali vanno rapidamente degradandosi, dall’altra la caotica dispersione di scorie, di composti xenobiotici e l’eccessiva diffusione di radiazioni elettromagnetiche antropogeniche (raggi gamma, raggi x, raggi ultravioletti, radiazioni luminose, infrarosse, microonde, radioonde, correnti alternate) alterano tutti i flussi chemioenergetici nell’ecosfera.
L’impatto umano sull’ambiente è strettamente collegato con la quantità e qualità dell’energia disponibile: un’economia fondata sui cavalli e sui mulini non poteva infliggere danni irreparabili alla natura. Ma l’uso dei combustibili fossili e nucleari ha dato un impulso eccezionale alla trasformazione della materia e allo sviluppo di industrie particolarmente inquinanti, come la chimica e la petrolchimica. Le modificazioni tecnologiche introdotte dopo l’ultima guerra. mondiale hanno mostrato un impatto disastroso sugli equilibri naturali anche per la molteplicità e l’entità delle sintesi organiche artificiali, estranee ed incompatibili rispetto a quelle biologiche (collaudate da tre miliardi e mezzo di anni e tutte reversibili perché dotate di uno storico significato informativo nel contesto del discorso metabolico in cui sono inserite).
L’inquinamento ha così varcato negli ultimi lustri i cancelli delle fabbriche, coinvolgendo tutta la popolazione nel medesimo attacco alla salute cui prima era esposta solo la classe operaia.
L’organismo biologico è un sistema aperto, che ha con l’ambiente uno scambio continuo di materia e di energia: è evidente che non può non risentire del disordine chimico e fisico dell’habitat Le molecole che introduciamo ogni giorno per via alimentare e respiratoria sono complessivamente numerabili con almeno 26 cifre (decine di milioni di miliardi di miliardi): quelle di origine tecnologica raggiungono ormai – e spesso superano – le 20 cifre (decine di miliardi di miliardi) 2. Perciò l’uomo della civiltà dissipativa ha le ossa infarcite di piombo (un settantenne ne ha accumulato trecento volte più di un bambino) e soffre di artropatie degenerative; concentra cadmio nei sistemi biomolecolari dei reni e della prostata (e il cadmio, come il piombo, è uno dei principali fattori di ipertensione arteriosa). I suoi visceri sono cosparsi di microscopiche fibrille cancerogene di asbesto, disseminate da varie industrie, dal traffico veicolare, dalle condutture in cemento-amianto per acquedotti. I suoi lipidi strutturali e di deposito trattengono DDT, idrocarburi clorurati, diossine, bifenili polialogenati e altre sostanze tossiche lipofile, in parte trasmesse ai neonati attraverso la frazione lipidica del latte 3.
Dei circa 8 milioni di composti chimici oggi conosciuti, sono centinaia di migliaia quelli dispersi nell’habitat dall’ordinario metabolismo industriale: concorrono con gli inquinanti fisici a degradare il fisiologico flusso chemioenergetico che alimenta la vita.
I dati statistici ed· epidemiologici offrono una chiara documentazione delle ripercussioni sanitarie. Nelle aree «sviluppate» del nord Italia l’incidenza del cancro è molto superiore rispetto alla Calabria e alle regioni meno «avanzate» del mezzogiorno e delle isole. Ugualmente più elevata nei poli industriali – malgrado la ricca rete di presidi sanitari – è la mortalità generale della popolazione residente, cosi come la prevalenza dell’aterosclerosi e di altre malattie degradative (anche di carattere psichico, come disturbi della personalità e disadattamento esistenziale). Quadri morbosi non rilevabili nei popoli primitivi, come pure negli animali selvatici, e che sono pertanto indicativi di una patologia non fisiogenica, originata unicamente dall’ambiente ostile che la società ha opposto tanto agli equilibri ecologici quanto alle esigenze della salute.
I fautori dello sviluppo produttivo (paradigma economistico che ha ben poco da spartire con la nozione moralmente pregnante di progresso) hanno tentato di attribuire alle malattie degenerative un prevalente carattere residuale: sarebbero cioè la ridotta mortalità per altre cause e l’invecchiamento della popolazione a porre automaticamente in evidenza una patologia propria dell’età natura. Ma non è affatto così. Tumori e malattie del sistema circolatorio si manifestano in età sempre più giovane e, nel gruppo di età che va dai 5 ai 24 anni costituiscono, rispettivamente, la seconda e terza causa di morte (dopo le «cause esterne di traumatismi e avvelenamenti»).
D’altra parte l’epidemiologia oncologica varia significativamente in rapporto all’industrializzazione, all’intensità del traffico motorizzato, alle abitudini. Molto più raro tra i vegetariani, il cancro è inesistente presso il popolo degli Hunzas, che vive nell’Himalaya sull’altopiano del Karakorum, mentre nello stato dell’Utah (dove il 72% degli abitanti è costituito da mormoni, il cui stile di vita ripudia il fumo e tende il più possibile al naturale) la sua incidenza era ancora, negli anni ’70, del 22% inferiore rispetto a quella media della popolazione bianca degli USA. Gli «Avventisti del 7° giorno» – una setta religiosa vegetariana molto indicativa perché sufficientemente rappresentata in un paese sviluppato come la California – si ammalano di tumore in misura dimezzata rispetto ai loro concittadini.
L’analisi della mortalità tumorale complessiva nel quinquennio 1974/78, standardizzata per sesso e per età e riferita esclusivamente ai decessi fra i 35 e 64 anni (i più significativi per un confronto statistico), dimostra come in quel periodo le 12 provincie italiane più colpite si trovassero tutte nelle regioni del nord. Al contrario, quelle con minore mortalità neoplastica erano in prevalenza nel sud e nelle isole 4. Situazioni locali in apparente contrasto con la dicotomia di fondo confermano le correlazioni tecnologiche: ad Augusta (Siracusa), sede di stabilimenti petrolchimici, la percentuale del cancro tra le cause di morte corrisponde a quella delle aree settentrionali più industrializzate.
È inoltre indiscutibile il ruolo dell’esposizione professionale nella patogenesi di alcuni tumori: il cancro della vescica è più frequente tra i lavoratori dei derivati dell’anilina, il mesotelioma pleurico o peritoneale in quelli esposti all’amianto, l’emoangiosarcoma tra gli addetti alla fabbricazione e all’impiego del cloruro di vinile.
Ad analoghe considerazioni si prestano le malattie cardiocircolatorie e tutta la patologia degenerativa a noi più familiare. Un’indagine compiuta negli anni ’60 tra gli indigeni Mabaan, viventi allo stato primitivo in una zona remota del Sudan meridionale, accertò non soltanto la loro longevità ma anche la completa assenza di ipertensione, disturbi coronarici, ulcere gastriche e duodenali, diabete, miopia, ipoacusia, osteoartrosi, nevrosi e delle altre forme degradative che oggi affliggono in misura crescente l’intero mondo sviluppato. E le ricerche compiute sulle robuste popolazioni Masai, fino a pochi anni fa allevatori nomadi al confine tra Kenia e Tanzania, approdarono a identici risultati: pur nutrendosi di prodotti della pastorizia, ricchi di colesterolo, quelle tribù presentavano arterie perfettamente integre e non soffrivano di alcuna delle cosiddette «western civilization diseases» (le malattie della civiltà occidentale).
Le regioni più avanzate nello sviluppo economico industriale sono quindi entrate in una crisi ecologica e sanitaria destinata ad aggravarsi perché senza soluzioni compatibili con lo sviluppo stesso 5. Non a caso gli Stati Uniti, malgrado il loro superiore livello scientifico e tecnologico nell’assistenza medica, già nel settennio tra il 1959 e il 1966 erano scesi dal 13° al 22° posto nella graduatoria mondiale concernente la speranza di vita alla nascita. Quanto all’URSS, dal censimento effettuato nel·1970 risultò che la media complessiva degli ultracentenari era di 8 su centomila, ma nelle zone meno contaminate del Caucaso superava i 100. Secondo dati più recenti, nell’Unione Sovietica la mortalità generale sarebbe andata aumentando – dopo i grandi successi sanitari ottenuti tra il 1920 e il 1965 – mentre diminuisce la durata media della vita.
Ciò perché lo sviluppo industriale comporta inevitabilmente – malgrado ogni possibile accorgimento tecnico – intensi e innaturali trasferimenti di materia e di energia, che alterano a lungo andare gli equilibri dinamici della biosfera. Equilibri in cui è indissolubilmente inserita la stessa fisiologia umana, .ancorata ad una programmazione genetica che discende da tre miliardi e mezzo di anni di «ricerca e sviluppo biologico» universali.
Quando, nel 1974, la Regione Emilia Romagna pubblicò per prima uno studio globale sui fattori di generazione dell’inquinamento nel proprio territorio, risultò che a Bologna l’emissione atmosferica di piombo dal traffico motorizzato (emissione agevolmente respirabile perché in forma di aerosol con particelle per la massima parte inferiori al micron) raggiungeva circa 3 q. al giorno. Non meraviglia pertanto che, quattro anni più tardi, la determinazione della piomboemia nei bolognesi non professionalmente esposti consentisse di rilevare una concentrazione media del metallo superiore a quella ritenuta tollerabile da una direttiva CEE del 29 marzo 19776.
Il piombo è tra gli inquinanti più diffusi nella biosfera, particolarmente da quando (1923) alcuni suoi composti organici vengono aggiunti alla benzina per elevarne il potere antidetonante, cioè per non far «battere in testa» il motore. I suoi effetti patogeni di base sono perciò abbastanza conosciuti, anche se ci si ostina a non trarne tutte le logiche deduzioni.
È veleno cellulare, quindi assai tossico per ogni protoplasma, per ogni tessuto vivente. Sappiamo che si accumula soprattutto nelle ossa, e tuttavia la scienza medica non lo prende in considerazione come una delle principali cause della patologia osteoarticolare degenerativa da cui è afflitta una quota crescente della popolazione, in età sempre più giovane. Sappiamo che esercita un’azione spastica sui vasi sanguigni, eppure la letteratura sull’ipertensione arteriosa (che è una manifestazione classica dell’avvelenamento acuto da piombo) ignora generalmente il ruolo di questo metallo nel determinismo della malattia.
È noto che il piombo, per le sue interazioni con il fosforo e lo zolfo delle macro molecole biologiche e per la ridotta ossigenazione dei tessuti (dovuta sia allo spasmo vasale, sia all’inibizione degli enzimi respiratori e delle fosforilazioni ossidative), provoca alterazioni in ogni organo e sperimentalmente si è dimostrato capace di produrre lesioni aterosclerotiche in ratti e conigli. Nondimeno, quando si passano in rassegna i possibili fattori di rischio dell’aterosclerosi, la malattia sociale più diffusa nei paesi industrializzati, il piombo e gli altri inquinanti ambientali e alimentari vengono sistematicamente dimenticati. E provato che il tessuto nervoso (il più sensibile alla carenza di ossigeno) risente in maniera precoce e particolare degli effetti tossici del metallo: nei bambini è stata documentata una significativa correlazione tra l’aumento della sua concentrazione nei denti e la riduzione del quoziente intellettivo. Però nessuno tiene conto del peso patogenetico del piombo nell’epidemico dilatarsi della demenza presenile e senile e delle altre piaghe neuropatiche ingravescenti della società avanzata. Si è rilevato che esso interferisce nella sintesi degli anticorpi e, se inalato, abbassa l’efficienza dei macrofagi polmonari. Ma il piombo continua a rimanere estraneo all’epidemiologia dei difetti immunologici.
Il problema non può essere, tuttavia, ridotto alla nocività di questa o quella sostanza. I veleni da cui siamo aggrediti sono di tale numero e dimensione che non è più possibile sceverare il ruolo eziologico di ciascuno nella genesi delle malattie degradative. Dal medesimo studio emerse che, insieme col piombo, il traffico motorizzato diffondeva quotidianamente nell’atmosfera del capoluogo emiliano circa 3,5 q. di aldeidi, 20 tonnellate di ossidi di azoto, 30 t. di idrocarburi, 200 t. di ossido di carbonio, alcune tonnellate di polveri incombuste e di anidride solforosa, oltre a una quantità imprecisabile di microscopiche fibrille di amianto.
Ognuna di queste sostanze provoca effetti dannosi sugli esseri viventi. Ma esse non sono che le più note fra le decine di migliaia dissipate da auto e motoveicoli (anche per l’usura del manto stradale bituminoso e degli pneumatici sintetici, polverizzati a Bologna nella misura di circa 5 q, al giorno).
Dalla combustione delle benzine sono stati liberati negli USA, durante il 1977, 56 tonnellate di cromo, 30 di nickel, 20 di selenio, 8 di antimonio, 5 di cadmio, 4 q. di arsenico, 3 q. di berillio, tutti elementi considerati virtuali mutageni e carcinogeni (anche in apporto al loro stato di ossidazione).
Benzene, toluene, xileni, idrocarburi policiclici aromatici, idrocarburi alogenati, ammine aromatiche, nitrosammine, metilnitrito, formaldeide, chetoni, ossido di etilene e altri epossidi, perossidi, radicali liberi (e una serie pressoché infinita di prodotti aggressivi delle interazioni tra queste sostanze oncogene, disperse dall’erosione automobilistica) contribuiscono ad accrescere il potenziale cancerogeno del flusso molecolare trapassante i 140 m2 della nostra superficie respiratoria polmonare. Numerose indagini, soprattutto negli USA, hanno dimostrato che l’aria urbana ha potere mutageno, cioè lesivo del materiale genetico cellulare, in correlazione diretta con l’intensità del traffico motorizzato.
Gli effetti dei miliardi di miliardi di molecole xenobiotiche e tossiche quotidianamente respirate si sommano con quelli delle analoghe molecole, in complesso più numerose, introdotte con alimenti, bevande, farmaci, cosmetici. Le più volte, sia nell’organismo, sia nell’ambiente, si producono interazioni con risultati imprevedibili. Processi fotodinamici e ossidativi negli stessi scarichi dei motori a combustione attivano le proprietà mutagene di parecchie sostanze. Composti cancerogeni si formano nel corso di trasformazioni metaboliche o dalla combinazione di precursori diversi. L’etilentiourea (mutagena, teratogena, cancerogena) si genera dalla degradazione di anticrittogamici etilen-bis-ditiocarbammati, come lo Zineb. I nitriti, reagendo con ammine secondarie e terziarie normalmente presenti nel cibo, nei liquami di fogna, in alcuni pesticidi e in una grande varietà di emissioni industriali, danno luogo a nitrosammine, classe di composti che vanta cancerogeni tra i più potenti.
La maggior parte delle interazioni ci sfugge e il costante aumento delle loro variabili ne rende scientificamente impossibile il controllo(7). E nondimeno certo che l’allontanamento dalla natura e lo sviluppo dell’industria stanno creando condizioni avverse alla vita.
In un primo periodo il bilancio dello sviluppo industriale era stato positivo in termini di salute. Le acquisizioni della biologia, della batteriologia, le misure di profilassi, il miglioramento delle infrastrutture igieniche, la maggiore disponibilità di alimenti sani e di altri mezzi di sostentamento – e i conseguenti successi contro molti morbi infettivi, un tempo principali cause naturali di malattia e di morte – si riflessero nelle statistiche demografiche e sanitarie. In Italia la mortalità generale scese, tra il 1861 e il 1978, dal 31 al 9,5 per mille, mentre la speranza di vita alla nascita, che ancora nel triennio 1880-82 non superava i 35 anni e mezzo (per la morte di un bambino su 5 nei primi 12 mesi), raggiungeva i 73 anni nel triennio 1977/79. Nel 1912-14, quando nacquero gli attuali settantatreenni, la previsione della loro vita media era di 47 anni. Tutto induce a ritenere che i nati odierni, cui le statistiche accreditano una speranza di vita di 73 anni, ben difficilmente troveranno le condizioni per una simile longevità.
Da quanto accennato emerge chiaramente che la fase dello sviluppo propizia alla salute è ormai superata. La seconda rivoluzione industriale, con l’esplosivo aumento della disponibilità energetica, le manipolazioni chimiche, la gigantesca dissipazione molecolare ed elettromagnetica, si è posta decisamente in antitesi con le fondamentali leggi della biosfera.
Se ancora occorresse una conferma che la causa prima delle malattie degradative va ricercata nello stravolgimento dei fisiologici rapporti tra l’organismo e l’ambiente, la verifica possiamo trovarla, evidentissima, negli allevamenti zootecnici intensivi. Forme morbose degenerative quasi identiche alle nostre, che in genere non si riscontrano fra gli animali viventi allo stato naturale, colpiscono quelli allevati industrialmente, il cui effettivo declino biologico è per altro mascherato dalla mattazione precoce. L’aterosclerosi incide a tal punto nei tacchini che molti di essi muoiono di colpo per rottura dell’aorta. Alterazioni cardio-circolatorie ed epatiche, nevrosi, ulcere gastriche, anemie, sterilità, malformazioni congenite, depressione immunitaria, tumori, stanno sempre più segnando anche la patologia animale delle regioni «avanzate»8.
Ma la patologia degradativa non può essere astratta dal generale divenire dell’intero organismo: lo stato di salute complessivo è, in ogni istante, il risultato di interazioni globali. Processi degenerativi (anche neoplastici) possono essere causati o favoriti da agenti infettivi e promuovere, a loro volta, l’insediamento o lo sviluppo di infezioni9.
La biosfera è caratterizzata da un ordine stratificato, dove tutto è dinamicamente interconnesso: la prima esigenza dell’ecologia è dunque di superare l’approccio riduzionistico, tipico della scienza galileiana. Come nessun essere vivente è isolato dagli altri, così nel singolo organismo ogni cellula è integrata in maniera cooperativa nel contesto unitario del sistema. Anzi le stesse cellule eucariote – unità elementari della vita animale e vegetale – sono attualmente considerate espressione di un legame simbiontico tra primitive cellule anaerobie (intolleranti all’ossigeno) e altri ancestrali procarioti: batteri capaci di utilizzare l’ossigeno (inseriti come mitocondri nelle cellule degli animali e delle piante, cui forniscono i meccanismi di respirazione aerobica per la produzione di energia), e alghe verdi azzurre dotate di attività fotosintetica (inserite come cloroplasti nel citoplasma delle· cellule vegetali i verdi)10.
Una fitta rete di messaggi collega tutte le cellule, tutte le forme di vita. Tra le farfalle, il bombice avverte l’odore della femmina lontana 10 km; l’informazione genetica del polline di piante anemofile può raggiungere il fiore a distanze assai maggiori; il salmone, attratto dall’ecosistema nativo, percorre centinaia di miglia nell’oceano aperto, per risalire lo stesso fiume, riprodursi e morire nelle stesse acque dolci in cui vide la luce. Il flusso alimentare e una ricca varietà di altre correnti chemioenergetiche sono la colla che tiene unite tutte le cellule viventi del pianeta, quale che sia la distanza tra loro intercorrente.
Affinità genetiche e interazioni coerenti legano più saldamente le cellule della medesima unità somatica: il collocamento e la funzione di ognuna di esse non sono casuali. Gli equilibri omeostatici della singola cellula e dell’intero organismo sono governati da una mente metabolica infinitamente più sensibile del nostro intelletto, alla quale è sempre presente il complicato bilancio delle interazioni molecolari 11. Le fluttuazioni degli equilibri in relazione ai flussi chemioenergetici modificano continuamente le condizioni di risposta alle perturbazioni – e quindi l’efficienza delle funzioni – a livello generale e locale.
Non tutte le persone ugualmente esposte a un agente infettivo o cancerogeno contraggono la malattia. Vi sono individui resistenti per tutta la vita anche ai microrganismi più contagiosi, come il virus del morbillo (con cui ci si deve confrontare fin dalla prima infanzia), mentre altri si ammalano soltanto nell’adolescenza o nell’età adulta, in occasione di episodici scompensi tra l’aggressività della carica infettante e l’efficacia delle difese immunitarie.
Già nel secolo scorso Claude Bernard affermava che i microbi hanno un peso relativo nel rovesciare lo stato di salute: importante è soprattutto la capacità reattiva e difensiva del soggetto. Non sembra pertanto illogico supporre che la degradazione tessutale di cui specialmente gli esseri viventi superiori sono oggi vittime li predisponga a una forte dilatazione della patologia infettiva e parassitaria.
Il diffondersi di una certa fragilità verso infezioni persistenti e recidivanti, spesso erroneamente giudicate banali, potrebbe essere l’indizio di un generale scadimento dei nostri meccanismi immunologici, alterati da rumori, ultrasuoni, radiazioni elettromagnetiche, traumi emotivi, frustrazioni e da una miriade di sostanze tossiche (come piombo, benzene, diossine, DDT e altri composti clorurati: radicali liberi dell’ossigeno, farmaci antibatterici, antiinfiammatori, antireumatici, citostatici e immunosoppressivi, droghe psicodepressive). D’altra parte la chimicizzazione antropogenica dell’ambiente e l’ubiquitaria presenza dei composti organici di sintesi sottopongono incessantemente il sistema immunitario a un’infinità di stimoli (e le manifestazioni allergiche dilagano), mentre la repentina batteriolisi provocata da antibiotici in un vasto spettro di popolazioni microbiche nell’organismo sollecita con violenza dagli immunociti una risposta ben diversa, per quantità e varietà di antigeni, rispetto a quella storicamente richiesta dalle malattie infettive12.
Il turbamento degli equilibri omeostatici – il «milieu intérieur» di Claude Bernard – mediato anche dal sovraccarico e dall’usura imposti ai grandi sistemi regolatori delle interazioni interne ed esterne (il neuroendocrino e l’immunitario), rappresenta il fattore comune degli stati morbosi di cui soffre l’uomo antibiologico della società industriale: dall’aterosclerosi al cancro, dalle malattie psicosomatiche all’AIDS.
Per la globalità delle interazioni tra gli esseri viventi e l’ambiente c’è una storicità nel succedersi delle patologie. Quella infettiva assunse dimensioni epidemiche al sorgere della pastorizia e dell’agricoltura, cioè con il formarsi di consistenti aggregati umani e animali nel periodo neolitico. Il micobatterio della tubercolosi accompagna forse l’uomo da allora e lo ha colpito in occasione di guerre, carestie e altre avverse congiunture sociali e sanitarie: la tisi è divenuta malattia professionale, insieme alle pneumoconiosi, quando masse di lavoratori, strappate alla vita dei campi, sono state costrette a pesanti fatiche nell’ambiente malsano delle miniere, delle fabbriche. E la recente enorme concentrazione del bestiame negli allevamenti intensivi ha segnato un’ulteriore svolta nell’infettivologia umana, sempre più dominata dai microrganismi degli animali13.
Se è ormai certa la correlazione tra il diffondersi della malattia tumorale e il disordine chimico e fisico dell’ambiente e degli alimenti, non sembra una mera coincidenza storica nemmeno il successo biologico di virus (come quelli ritenuti responsabili dell’AIDS, capaci di esprimersi solo se attivati da fattori coadiuvanti) che attaccano, tra l’altro, cellule cardinali del sistema immunitario alla cui integrità è legata la difesa sia dal cancro, sia dagli stessi virus14.
Si direbbe che la natura stia manifestando una sempre più decisa reazione di rigetto verso la civiltà tecnologica, straniera al patrimonio informativo dei processi vitali, ai loro principi selettivi intesi alla massima efficienza nell’utilizzazione dell’energia solare e alla minima entropia nell’organizzazione della materia.
L’ecologia non deve dunque ridursi a scienza delle interazioni oggettive e quantificabili tra la vita e l’habitat. Gli equilibri ecologici hanno una dimensione molecolare di base è comprendono il nostro stesso equilibrio interiore, biochimico, fisiologico, psichico. La consapevolezza dell’indissolubile unità del reale è la forza vincente della cultura ecologista, l’alternativa al delirio di potenza che, opponendo l’uomo a tutta la biosfera, lo aliena e consegna a un tragico destino.

QUALCHE ESEMPIO DEL FLUSSO QUOTIDIANO DI MOLECOLE MUTAGENE E CANCEROGENE, ACCERTATE O SOSPETTE, NEL NOSTRO ORGANISMO
Durante le. ore di punta alcune sostanze possono trovarsi nell’aria urbana a queste concentrazioni:
– monossido e biossido di azoto, centinaia di microgrammi per m3
– benzene, circa 100 microgrammi per m3
– toluene, circa 100-140 microgrammi per m3
– xyleni, circa 90 microgrammi per m3
– formaldeide, alcuni microgrammi per m3
– ossido di etilene, alcuni microgrammi per m3
– benzo(a)pirene, circa 0;05 microgrammi per m3
– idrocarburi policiclici aromatici (complessivamente) da 0,1 a qualche decina di microgrammi per m3
– piombo, da alcuni mcg a qualche decina di mcg per m3

Nell’atmosfera di Milano la trielina e altri solventi clorurati hanno toccato livelli complessivi variabili, secondo la stagione, da 5 a oltre un centinaio di mcg/m3.
Un microgrammo è uguale a un milionesimo di grammo.

– In un mcg di monossido di azoto le molecole sono circa 20 milioni 70 mila miliardi
– in un mcg di biossido di azoto circa 13 milioni 90 mila miliardi
– in un mcg di benzene circa 7 milioni 710 mila miliardi
– in un mcg di toluene circa 6 milioni 534 mila miliardi
– in un mcg di xyleni circa 5 milioni 672 mila miliardi
– in un mecg di formaldeide circa 20 milioni 75 mila miliardi
– in un mcg di etilen-ossido circa 13 milioni 672 mila miliardi
– in un mcg di benzo(a)pirene circa 2 milioni 386 mila miliardi
– in un mcg di piombo circa 2 milioni 906 mila miliardi
– in un mcg di trielina circa 4 milioni 583 mila miliardi
(N.B.: gli ossidi di azoto sono importanti anche per le interazioni che portano alla formazione di nitriti e nitrosocomposti).
Una persona mediamente attiva respira in un giorno circa 20 m3 di aria.

Nei locali costruiti o arredati con materiali plastici la formaldeide può raggiungere parecchie decine di mcg per m3.
Nel fumo di un’intera sigaretta si trovano mediamente più di 1300 mcg di ossidi di azoto, alcuni mcg di formaldeide, una decina di mcg di benzene, 0,6-2 mcg di piombo, 0,14-0,19 mcg di cadmio, qualche centesimo di mcg di benzo(a)pirene, quasi un mcg di nitrosammine, circa 0,002 mcg di beta-naftilammina. Con una sola boccata di fumo vengono aspirati milioni di miliardi di radicali liberi (frammenti di molecole in cui almeno un elettrone dell’orbita esterna è spaiato, quindi estremamente reattivi).
A 10 cm. dal la superficie idrica di piscine coperte, il cloroformio derivante dalla clorazione dell’acqua è stato rinvenuto a concentrazioni di decine o centinaia di mcg per m3 d’aria.

– In un mcg di cadmio le molecole sono circa 5 milioni 357 mila miliardi
– in un mcg di dimetilnitrosammina circa 8 milioni 130 mila miliardi
– in un mcg di dietil nitrosammina circa 8 milioni 904 mila miliardi
– in un mcg di beta-naftilammina circa 4 milioni 847 mila miliardi
– in un mcg di cloroformio circa 5 milioni 44 mila miliardi

Nell’acqua potabile clorata, il residuo di cloro attivo è generalmente dosabile in centinaia di mcg per litro, il cloroformio da centesimi di mcg fino a decine o centinaia di mcg/l. In alcune acque potabili il tetracloruro di carbonio può trovarsi fino a 0,1-1 mcg/litro; benzene, toluene, xyleni fino a più di 10 mcg/l. La trielina non di rado, in certe zone industriali, ha superato i 100 mcg/l e, in qualche pozzo inibito all’uso, i 1000. Il cromo esavalente, in alcuni pozzi della pianura padana, ha superato il limite legale di 50 mcg/l e l’erbicida Atrazina è stato rilevato a livelli che oltrepassano di parecchie decine di volte la concentrazione massima ammissibile, stabilita dalla CEE in 0,1 mcg/l.

– In un mcg di cloro le molecole sono circa 8 milioni 492 mila miliardi
– in un mcg di tetracloruro di carbonio circa 3 milioni 914 mila miliardi
– in un mcg di cromo circa 11 milioni 575 mila miliardi
– in un mcg di atrazina circa 2 milioni 792 mila miliardi.

Con gli alimenti, in un giorno, vengono ordinariamente assunti: decine di mcg di cadmio, di cromo, di nickel, diverse centinaia di mcg di piombo, alcuni mcg di policlorobifenili (PCB) e policlorotrifenili (PCT), alcune centinaia o migliaia di mcg di pesticidi, alcune decine o centinaia di mcg di ftalati, da qualche decina a migliaia di mcg di nitriti (aggiunti, fra l’altro, come additivi agli insaccati, alla carne in scatola e ad altre carni conservate, fino al limite legale di 150.000 mcg per kg). I nitriti possono formare nitrosocomposti cancerogeni: inoltre lo ione nitroso colpisce direttamente tre delle basi azotate del DNA, trasformando la guanina in citosina, la citosina in uracile, l’adenina in ipoxantina, con il conseguente sconvolgimento dell’informazione cellulare.

– In un mcg di nickel le molecole sono circa 10 milioni 256 mila miliardi
– in un mcg di P.C.B. sono, in media, 1 milione 847 mila miliardi
– in un mcg di P.C.T. sono, in media, 1 milione 36 mila miliardi
– in un mcg di diottilftalato le molecole sono circa 1 milione 541 mila miliardi
– in un mcg di nitrito di sodio circa 7 milioni 82 mila miliardi
– in un mcg di etilentiourea circa 5 milioni 894 mila miliardi
– in un mcg di DDT circa 1 milione 698 mila miliardi.

Si tratta di alcune delle più note fra le molte migliaia di sostanze, potenzialmente mutagene e cancerogene, che – seppure solo parzialmente assorbite – alterano la qualità informativa del flusso molecolare negli organismi viventi (o perché prodotte dall’uomo, o perché le attività industriali ne accrescono parecchio la naturale dispersione nell’ambiente).

Bibliografia essenziale

BATESON G., Mente e natura, Milano, Adelphi, 1984
CAPRA F., Il punto di svolta, Milano, Feltrinelli, 1984
CONTI L., Questo pianeta, Roma, Editori Riuniti, 1983
LORENZ K., Il declino dell’uomo, Milano, Mondadori, 1984
RIFKIN J., Entropia, Milano, Mondadori, 1982
SACCHETTI A., L’uomo antibiologico, Milano, Feltrinelli, 1985

Note

Nota 1 – La formazione e la dispersione di rifiuti, ineludibile per la legge dell’entropia, è il vero limite biologico ed economico dello sviluppo industriale. Senza calcolare le enormi quantità microscopicamente dissipate, ogni anno i rifiuti macroscopici accumulati in Italia sono centinaia di milioni di tonnellate: più di 50 milioni di t. i residui industriali, di cui almeno 15 milioni classificabili tossici e nocivi a norma di legge (ma dal punto di vista igienico va considerata nociva la massima parte dei rifiuti industriali). Per molti di questi non esistono sistemi veramente idonei di trattamento e smaltimento. I miscugli di minerali tossici· (come piombo, cadmio, mercurio, arsenico, berillio, tallio, antimonio ecc,) non potranno mai essere riordinati e confinati eritro le viscere della Terra, nella forma chimica più stabile in cui ciascun elemento vi si trovava da miliardi di anni. Essi, anche se artificialmente incorporati in rocce o polimeri sintetici relativamente insolubili (ma pur sempre degradabili nel tempo), continueranno a rappresentare un’insidia per la vita, se in concentrazione superiore a quella media naturale del terreno. La biosfera ne viene sempre più avvelenata, per un arco temporale che, contrariamente al decadimento delle scorie radioattive, non è in alcun modo prevedibile. E intanto, per i costi e le difficoltà dello smaltimento «legale», rifiuti tossici e nocivi finiscono in ogni dove (anche in materiali edilizi e massicciate stradali) eludendo gli evanescenti controlli pubblici. 

Nota 2 – Quando, nel 1676, l’olandese Van Leeuwenhoek osservò per primo al microscopio il pullulare di minuscoli organismi nelle infusioni artificiali, una nuova insospettata dimensione della vita imponeva di aggiornare radicalmente i concetti stessi di malattia e di salute. Oggi la dimensione molecolare, da migliaia a milioni di volte più piccola di quella degli infusori, esige una diversa visione dei problemi, non più comprensibili nella consueta angolazione e con le tradizionali unità di misura. Le interazioni degradative avvengono a livello molecolare e ha poco senso definire accettabile l’assunzione giornaliera di un nanogrammo (un miliardesimo di g.) di benzo-a-pirene (BaP) o di dimetilnitrosammina (Dmn). Ogni molecola di questi cancerogeni può combinarsi con una base azotata del DNA, deformandola e quindi alterandone la funzione. È più corretto far sapere alla popolazione che in un nanogrammo di BaP sono circa 2387 miliardi di molecole e in un ng di Dmn circa 8130 miliardi, capaci di danneggiare altrettante molecole informative del materiale genetico cellulare. 

Nota 3 – Da notare che, tolta la componente idrica, più del 50% del cervello è costituito di lipidi e che per i composti lipofili il sistema nervoso è un facile bersaglio. Inquinanti ambientali (chimici e fisici) e virus neurotropi (tra i quali si sono aggiunti, da ultimo, quelli associati all’AIDS) concorrono sempre più spesso con molte sostanze assunte a scopo voluttuario o terapeutico (droghe, psicofarmaci) a squilibrare l’attività neurochimica cerebrale.
Preoccupa in particolare la generale esposizione a solventi, pesticidi, metalli pesanti. La degradazione encefalica è una minaccia diretta, oscura, progressiva, alle più elevate qualità umane. I nostri bambini nascono con 10 microgrammi di DDT (pari a circa 17 milioni di miliardi di molecole) in ogni litro di sangue, ma nei lipidi la concentrazione del tossico è maggiore.

Nota 4 – Le province con maggiore mortalità neoplastica nella popolazione maschile (tassi rapportati a centomila abitanti residenti)’ erano, nell’ordine: Brescia (406,99), Cremona (392,80), Bergamo (391,68), Venezia (364,23), Milano (363,58), Belluno (363,21), Sondrio (362,09), Udine (361,32), Como (358,80), Pavia (3.56,63), Padova (346,88). Quelle meno cancerogene: Agrigento (133,38), Potenza (134,52), Enna (136,57), Cosenza (138,81), Isernia (145,86), Catanzaro (151,12), Campobasso (151,34), Avellino (152,06), Benevento (152,65), Ragusa (154,51), Trapani (157,20).
Per il sesso femminile le provincie più rischiose erano: Gorizia (199,38), Cremona (198,28), Aosta (195,67), Bergamo (194,64), Alessandria (190,56), Milano (188,51), Novara (187,85), Pavia (186,97), Trieste (186,47), Varese (184,61), Forlì (182,8.8). Quelle con minor tasso di mortalità per tumori: Matera (103,37), Cosenza (107,27), Catanzaro (107,27), Rieti (108,24), Chieti (109, 29), Avellino (111,33), Potenza (112,25), Benevento (116;0:7), Enna (116,14), Teramo (119,35), Nuoro (119,65). (da P. Branzaglia, M. Camnasio, A. Cantaboni, U. Facchini: «I tumori in Italia» – Doctor III. 10, 2, 1985).

Nota 5 – Le sindromi degradative provocate dallo sviluppo stanno assumendo aspetti sempre nuovi e imprevedibili a causa del complicato intreccio etiologico. Quasi tutti i principali organi, sistemi, apparati vedono arricchirsi la propria patologia: morbo intestinale di Crohn, panbronchiolite diffusa, malattia renale cistica acquisita, osteolisi della testa femorale.

Nota 6 – Secondo quella direttiva la piomboemia non deve superare 20 microgrammi per 100 ml di sangue nel 50% della popolazione, 30 mcg nel 90%, e solo nel 2% può eccedere i 35 mcg. Ma un’indagine recentemente eseguita sugli Yanomami dell’Amazzonia ha messo in evidenza che la loro piomboemia è di 0,8 mcg, confermando gli studi di C.C. Patterson secondo cui nell’era preindustriale la concentrazione del piombo nel sangue non oltrepassava 0,2 mcg/100ml.

Nota 7 – Oltre tutto i laboratori pubblici di controllo difficilmente sono oggi in grado di rilevare certe sostanze a concentrazioni inferiori a una parte su mille miliardi. Ma a una simile concentrazione, per es. in un kg. di alimento, le molecole di un composto cancerogeno (benzopirene, dimetilnitrosammina, etilentiourea ecc.) sono migliaia di miliardi: spingendo la definizione a un livello mille volte più microscopico quelle non rilevabili resterebbero comunque miliardi. E quand’anche detti laboratori possedessero strumenti per approfondire l’indagine a livello molecolare, potrebbe divenire arduo (pure applicando particolari cautele di isolamento) discriminare l’inquinamento della sostanza analizzata da quello di fondo della cabina e delle attrezzature di ricerca.
Il caos molecolare di fondo, nella biosfera, ha potuto innalzarsi in pochi decenni di migliaia di volte sfuggendo alle strutture istituzionali di rilevamento, che non potranno mai veramente adeguarsi a tutte le trasformazioni indotte nell’ambiente dallo sviluppo industriale.

Nota 8 – La maggior parte dei cani e dei gatti muore oggi di tumore, come i pesci del lago Michigan e dei fiumi Hudson, Buffalo, Black river negli Stati Uniti. Nelle acque fluviali inquinate di Cubatão (aggregato industriale di San Paolo del Brasile) l’ittiofauna sopravvissuta è cieca e deforme. I gatti, soprattutto quelli chiusi in collettività nei gattili, sono talora uccisi anche dalla· FAIDS (sindrome felina di immunodeficienza acquisita), ritenuta non contagiosa per l’uomo. Le correlazioni zoonosiche dell’AIDS umana, però, non sono state ancora sufficientemente approfondite.

Nota 9 – L’aspecificità eziologica delle malattie degradative di origine chimico fisica è legata alla molteplicità dei fattori di deformazione biomolecolare. Analogamente una chiave, il cui profilo sia stato alterato, non ingrana più nella serratura indipendentemente dalla causa deformante (termica, meccanica, chimica). I virus oncogeni modificano l’informazione cellulare con un· meccanismo originale: essi integrano il proprio genoma (cioè il materiale genetico), o parte di esso, in quello della cellula ospite. L’informazione, così trasformata in senso neoplastico, si trasmette a tutta la discendenza della cellula cancerizzata (quando le cellule divenute estranee all’ordine sistemico non vengano fisiologicamente distrutte o bloccate).
Complessità eziologica e varietà di forme morbose trovano dunque un comune denominatore patogenetico nel disturbo dei processi informativi organici, al di là dei fluttuanti limiti individuali di tolleranza.

Nota 10 – Le cellule eucariote (dal greco eu = bene, buono, e karyon = noce, nucleo) hanno un nucleo ben differenziato, organizzato, e una complessa architettura citologica: tali sono le cellule di tutti gli animali, le piante, i protozoi. Vengono detti invece procarioti («pro» in parole complesse di origine greca esprime anteriorità) gli organismi unicellulari primitivi, nei quali il materiale nucleare non è delimitato da una membrana specifica e le strutture cellulari sono ridotte all’essenziale (come nelle alghe verdi-blu, o cianoficee, e nei batteri). L’ipotesi che i cloroplasti cellulari delle parti verdi delle piante siano cianoficee e i mitocondri di tutte le cellule eucariote batteri, è confortata dal fatto che tanto i cloroplasti, quanto i mitocondri, hanno propri acidi nucleici (DNA, RNA), si riproducono per divisione semplice, effettuano una sintesi proteica indipendente da quella ialoplasmatica (lo ialoplasma è la matrice colloidale, esterna al nucleo, in cui sono immerse tutte le strutture e gli organuli citoplasmatici, compresi i mitocondri e i cloroplasti). Mentre nei grandi ribosomi ialoplasmatici degli eucarioti la sintesi proteica inizia con l’amminoacido metionina, nei piccoli ribosomi mitocondriali comincia con la N-formilmetionina, come nei batteri.
La selezione di antibiotici e pesticidi attivi sui procarioti e innocui per le cellule eucariote è destinata a rimanere utopistica anche per la difficoltà di evitare effetti dannosi sui simbionti ancestrali. Per es., l’azione del cloramfenicolo inibitrice della sintesi proteica nei batteri, risparmia le sintesi operate nei ribosomi ialoplasmatici degli eucarioti ma non quelle che avvengono nei mitocondri. I composti che inibiscono la sintesi degli acidi nucleici nei procarioti possono inibirla anche nei mitocondri e nei cloroplasti. E il DNA mitocondriale, pur essendo molto meno dell’1% di tutto il DNA cellulare, raggiunge complessivamente nell’organismo umano parecchie decine di milioni di km.

Nota 11 – È questa mente biologica che induce il seme a diventare pianta, la fanciulla a divenire donna e che a un certo momento ordina allo sviluppo staturale di arrestarsi: è essa che guida gli immunociti a riconoscere gli antigeni, gli enzimi cellulari a riparare le rotture del DNA e a sostituire le molecole deformate. La mente che regola i processi della vita e che l’uomo tecnologico, nella sua puerile arroganza, ignora e maltratta.

Nota 12 – Con il termine di «antigene» (dal greco «anti», nel significato di «contro», e génesis = generazione) si indica un a sostanza riconosciuta estranea dall’organismo, nel quale genera una risposta contro sé stessa (reazione immunitaria), Questa risposta, oggi, si esprime con maggiore frequenza che in passato in funzione non immediatamente protettiva, attraverso reazioni patologiche di intolleranza (allergie).

Nota 13 – L’abolizione dei lager zootecnici appare la misura più urgente, non solo per indifferibili esigenze igienico sanitari e, ma anche per i positivi riflessi ecologici, etici, culturali conseguenti. Il trionfo dell’irrazionalità e della violenza è infatti, non meno della degradazione dell’ambiente e delle strutture biologiche, espressione della crisi globale dei valori di una società postasi di fatto contro le leggi della vita.

Nota 14 – Pure la struttura molecolare dei linfociti, rinnovati al ritmo di un milione al secondo, è condizionata dalla qualità del flusso chemioenergetico che li alimenta. Non è da escludere pertanto una parallela espansione anche della patologia neoplastica di origine virale, come già avviene negli animali stabulati. Ma i fattori che contribuiscono a volgere l’equilibrio a vantaggio delle difese organiche o dell’aggressività di qualsiasi agente patogeno sono infiniti. Giustamente i medici consigliavano, contro la tisi, alimentazione sana e vita igienica all’aperto, al sole, in montagna. Regole di permanente e generale validità. Se la loro osservanza è divenuta materialmente impossibile (mentre muoiono perfino i boschi alpini) abbiamo un preciso dovere: impegnarci perché condizioni di vita fisiologiche siano restituite ovunque, non coprire le responsabilità del sistema economico nella genesi e nella diffusione delle malattie.

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